La ricetta di oggi è legata a una piccola avventura, qualche giorno fa mentre attraversavo Pirri sulla sella dello scooter, la mia attenzione è stata catturata da un motocarro, ho subito inchiodato e sono sceso per fare qualche foto. Rapito dalla curiosità manco fossi un bambino di fronte al furgoncino dei gelati, mi sono avvicinato per vedere cosa c'era in vendita. Così ho conosciuto Gianni il mago dell'aglio, che aveva in bella vista con orgoglio quasi identitario aglio di Florinas, Guasila, Maracalagonis e Pabillonis, cipolle di Samassi e di Tropea (unico prodotto non regionale), vari tipi di lumache raccolte nelle campagne di Dolianova e meloni a pasta gialla di Sestu. Questo venditore stranamente mi ha inorgoglito, sostanzialmente per il fatto che oggi i nostri supermarket sono invasi dall'aglio cinese, dico questo non tanto per la retorica del km zero dalla quale sono lontano, ma per il semplice motivo che qui l'aglio si trova molto facilmente e non c'è bisogno di acquistarlo dall'altra parte del mondo, cosa invece molto comprensibile per prodotti come il tofu o appartenenti ad altre culture alimentari.
L'aglio e la cipolla sono state per secoli sinonimo di una cucina povera. Massimo Montanari nel suo: Il riposo della polpetta*, dedica loro un paragrafo intitolato: Puzza d'aglio**, in queste pagine vengono riportate alcune storie medievali che narrano come questi prodotti fossero intimamente lagati: "all'universo alimentare contadino, rustico e volgare"***. L'episodio più interessante è quello di un contadino che voleva farsi nominare cavaliere e che si trovo beffato dal Duca che alla cerimonia di nomina gli mostro il blasone raffigurante: "Un capo d'aglio in campo blu con una damigella che si ritrae turandosi il naso per il fetore".****
A soli 15 minuti dalla scoperta di Gianni e della sua Ape Piaggio ero nuovamente a bordo del mio scooter con una treccia di cipolle di Tropea e una di aglio di Pabillonis. Solo in quel momento ho iniziato a capacitarmi che forse con le cipolle avevo esagerato, sia per farle durare nel tempo sia per mangiarle con le uova.
Così mi sono ricordato di una marmellata di cipolle che un po' di tempo fa avevo assaggiato, allora ho subito fatto un giro alla ricerca di qualche ricetta interessante e ne ho scovato che faceva al caso mio.
Arrivato a casa a Villamar alle 23.30 e inizio a pulire un chilo di cipolle e le taglio a fettine piccole, le metto in un contenitore e aggiungo un cucchiaio di sale fine e un bicchiere di aceto di mele e qualche foglia di alloro, mescolo il tutto e lascio a riposare per quattro ore. Alle 4.00 in punto suona la sveglia, mi alzo ad aggiungere 500 g di zucchero e noto che le cipolle navigavano nell'acqua che il sale aveva fatto uscire. Altre cinque ore di sonno quindi alle 9 ho levato le foglie di alloro e ho messo in cottura per circa un'ora la marmellata. Terminata la cottura dopo aver sterilizzato i vasetti gli ho riempiti con la marmellata. Poiché non so resistere dopo pranzo sono andato a cercare dei fichi in campagna per poterli sperimentare la notte la marmellata, ottimo accostamento, anche se poi nei giorni a seguire ho provato sia con la carne, il pane carasau e il formaggio ogni volta un piacere per il palato.
* Massimo Montanari, Il riposo della polpetta e altre storie intorno al cibo, Laterza, Roma - Bari 2010.
** Idem pagg. 25 - 27.
*** Idem pag. 26.
**** Idem. Giovanni Sabadino degli Arienti, Novella Settanta Una, Verona 1540, La Novella XVII (pag. 77) è consultabile al seguente link: http://books.google.com/books?id=UyA8AAAAcAAJ&pg=RA1-PT69&dq=bondeno+inauthor:SABADINO+inauthor:DEGLI+inauthor:ARIENTI&hl=it&ei=uig5TpLcBsmp8QPy6dWNAw&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=2&ved=0CC0Q6AEwAQ#v=onepage&q=bondeno%20inauthor%3ASABADINO%20inauthor%3ADEGLI%20inauthor%3AARIENTI&f=false
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